Avevo appena raggiungo un obiettivo importante, vincere il concorso per i vigili del fuoco. Ma qualcosa di inaspettato ha cambiato i miei piani: la diagnosi di un Linfoma di Hodgkin. Mi sono sentito come chi gioca estremo nel rugby, sei l’ultimo e se sbagli l’avversario va in meta, se lo placchi vinci la partita. Avevo accanto a me, per fortuna, una squadra fortissima composta dalla famiglia, amici, medici ed infermieri. Dopo 7 mesi, ho conquistato la mia prima vittoria e ho deciso di diventare volontario dell’AIL, perché facendo squadra si può affrontare ogni difficoltà.
Mancava qualche giorno a Natale. Il mio regalo l’avrei scartato da lì a qualche mese con una firma su un contratto con il Ministero dell’Interno e l’assunzione come Vigile del Fuoco. Ma qualcosa di inaspettato arriva. Un numero, 132, riportato nel ticket di attesa per un’ecografia per una piccola pallina sul collo. Nulla di cui preoccuparsi. 60 secondi, tanto è durato il silenzio assordante dentro la mia testa quando il medico mi ha detto che avrei dovuto salire al reparto di oncoematologia per fare alcuni accertamenti. Quelli che mi hanno semplicemente permesso di dare un nome a quello che mi stava accadendo: Linfoma di Hodgkin. L’odore della paura è una cosa che ti porti dentro per sempre, ti senti all’angolo.
È come per chi gioca estremo nel rugby: sei l’ultimo e se sbagli l’avversario va in meta, se lo placchi vinci la partita. Non sapevo cosa mi aspettasse. Misi in ordine la mia borsa da rugby, lucidai le scarpe, scelsi con cura i calzettoni, preparai il nastro per fasciarmi le orecchie e misi il paradenti dentro la sua custodia. L’attesa per la prima chemioterapia era come in spogliatoio prima di iniziare la partita, la tensione mescolata a paura. Il cuore a mille per la consapevolezza di dover affrontare un avversario di cui però non sai nulla: quanto duro sarà il placcaggio, quanto forte correrà.
I compagni in cerchio con il capitano che motiva la squadra era la mia famiglia. Gli amici e le persone care pronte a sostenermi come in una partita vera. Gli infermieri e i medici del reparto di Rovigo e il personale sanitario pronto ad entrare in campo per prestare le prime cure. Il giorno della prima cura arrivò, sistemai il paradenti, allacciai bene le scarpe ed entrai in campo. Ci furono molti placcaggi, alcuni mancati altri portati in avanzamento. Mi trovai spesso con la testa in mezzo al fango. La mia partita finì il 31 di luglio e uscii vittorioso dal campo con la mia squadra composta dalla mia famiglia, i miei cari e i medici e gli infermieri.
Avevo riconquistato la vita e la libertà anche se avevo lasciato sul campo il sogno dei Vigili del fuoco. Decisi però di sostenere chi come me stava passando l’inferno. Sono diventato volontario dell’AIL e ho iniziato partecipando alla campagna “Stelle di Natale”. Mi resi conto che ogni persona che passava dal banchetto in piazza a Rovigo aveva contribuito, anche a sua insaputa, ad ogni singola goccia che piano piano usciva dalla flebo ed entrava nelle mie vene. Un grazie speciale ad AIL per il sostegno e la continua speranza che dona ogni giorno ai malati e alle famiglie. Insieme, anche la tempesta più brutta può essere affrontata.
Giovanni